

lì che è un po' fiaba, un po' polvere



Ci sono giorni in cui mi siedo sulla poltrona e guardo fuori, la valle di notte. Nero. Solo tanti piccoli puntini luminosi e il riflesso traslucido del mio volto sul vetro. Lo guardo, mi vedo. E in quell’istante penso: sono tornato, e l’ho ritrovato il mio cuore. Forse.
Che il cuore è fragile, si sa. Fragile e di carta. Nella tempesta delle emozioni se lo lasci volare via lo perdi di vista. E basta un attimo che non lo riconosci più. E’ il pulviscolo che danza nell’aria nel chiarore di un raggio di sole. L’aria fredda sul naso. L’odore dei comignoli nel vento che annunciano l’Inverno. Le foglie gialle che muoiono a terra. Il cielo cangiante che sa stupire con giochi di nuvole dalle forme più strane. Ma non lo vedi perché lo hai perso di vista. Non lo riconosci, perché l’hai cacciato, l’hai lasciato fuggire. Il tuo cuore.
Poi.
Poi ti capita di cercarlo. Di volerlo indietro. Allora scavi a fondo, ma non sai da dove cominciare perché non lo vedi più. Lo cerchi nei fogli di giornale, nelle ceneri di un fuoco che un tempo palpitava, nelle sigarette spente, nel fango o nella polvere che si è posata sui sogni infranti. Ma non lo trovi. Perché non lo vedi.
Poi.
Poi capita che torna. All’improvviso. Con prepotenza. E ti rendi conto che bastava solo guardare verso ciò che vive, brilla e danza. E quando torna riempie un vuoto che avevi riempito con fogli, polvere o fango.
Poi.
Poi, quando il cuore è tornato sorridi al freddo, al cielo e ai comignoli… Perché chissà quanti cuori cacciati si nascondono lì…
Forse.
Björk - Desired Constellation
“Hai mai guardato le stelle?
Sei mai rimasto fuori a lungo,
soltanto per contemplare le stelle?
Così a lungo da sentirti girare la testa.
Non perché tenevi la testa piegata all’indietro,
ma perché il tuo sguardo arrivava tanto lontano.
Più la notte è nera
più in là riusciamo a vedere nello spazio celeste…
Hai mai pensato a cosa c’è dietro le stelle?
Altre stelle naturalmente.
Ma dietro a quelle?
Cosa c’è al di là di tutto?”
E’ ciò che faccio ora. Mi sporgo un po’ più in là del cielo e mi perdo, cercando tutto, e niente. Una coltre di nubi offusca la notte e le stelle non brillano come fanno solitamente, ma so che sono lì, sono io che non le vedo. Per questo chiudo gli occhi e immagino tutti i colori della notte, perché ci sono tutti - i colori - nel buio. Li terrò stretti con me per usarli domani, quando la notte sarà sparita e il giorno avrà bisogno della mia fantasia.
Ricordo che una volta le vidi, le stelle, così belle e luminose come diamanti. Fantastiche, immense. Il Grande Carro, diadema del cielo. Avrei potuto immaginare di raccoglierle e portarle con me, di stringerle in un pugno, per poi lasciarle scivolare lentamente, ogni volta che i miei occhi non erano in grado di vedere la luce. Ci ha pensato il destino poi, o forse l’autunno, a velare il cielo.
Poco è stato, ma tanto ho vissuto. Inghiottito dal giorno seguente.
Ed ora è difficile trovare spazio per un desiderio tutto mio, da riporre lassù. Sarebbe più facile spegnere e nascondere ogni pensiero segreto, andar via e inventare tutto di nuovo… potrei farlo. Ma significherebbe rinunciare a tutto ciò che c’è di bello, rinunciare a tutto ciò che mi scalda il cuore. E’ come scegliere tra uno scrigno luccicante ed invidiato, ma tacitamente vuoto, ed un grande baule di legno pregiato, ricolmo di tutto ciò che in una vita vissuta pienamente si possa volere. Come dover scegliere tra le bollicine dello champagne, estasi fugace di una notte che ride a pieni denti, e il vino decantato, carico di un sapore complesso ed elitario.
Ho perso una piccola parte del mio cuore, tu non buttarla, ti parlerà di me.

Yashal - Elisa
E’ tardi. Nel buio preferisco scrivere su uno sfondo nero, piuttosto che nero su bianco. La pagina bianca mi spaventa a volte perché devo assicurarmi di saperla riempire, darle un senso e un tono per arrivare alla sua fine. Mentre il nero, sebbene anch’esso non sia un colore, possiede da solo un proprio completamento, riesco a vederci attraverso anche se apparentemente non c’è nulla, oppure mi piace semplicemente immaginare che ci sia qualcosa, che sia tutto lì già scritto, e che mi serve solo un po’ di luce, che arriverà da lontano, lentamente, poca alla volta, per schiarire il buio e sfumare l’oblio. Eppure mi sento come di fronte ad un foglio bianco, turbato perché non riesco a vederci nulla, ma felice, e sorrido rileggendo ciò che è già stato scritto, poche righe è vero, che forse raccontano l’inizio di qualcosa, oppure resteranno sparse e sporadiche, evocando immagini e momenti, come un libro illustrato da portare nel cuore. Di fronte a una nuova prospettiva non so se essere felice o preoccupato, devo darmi tempo, e aspettare che si spenga la brace che ho dentro, aspettare che diventi cenere, e che renda fertile il terreno su cui potrò sentirmi sicuro di coltivare un fiore. Devo vivere, vivere più da umano che da ballerino, senza aver paura che una porta aperta possa sbattere e chiudersi da un momento all’altro, vivere senza aver paura di cambiare i passi prefissati da regole certe, improvvisando coreografie che erano già state stabilite. Ho capito che le ansie e le angosce per quello che mi riserva il futuro mi accompagneranno sempre, per tutta la vita, per questo avrò i miei momenti bui, le mie allegrie improvvise, ballerò, canterò, oppure piangerò abbracciato ad un cuscino pensando alle cose che sono cambiate e che non torneranno più, anche se poi ne arriveranno di nuove a farmi sorridere un’altra volta. Non mi resta che accettare la vita nel modo più giusto, come un’altalena fatta di emozioni, dalla quale nessuno ha la fretta di scendere; per questo mi dondolo ancora un po’, sospeso a mezz’aria, e aspetto che finisca l’illusione di un’estate che non so quando arriva, quando parte. Se riparte.